L’infedeltà virtuale è uguale a quella fisica
La tecnologia e la capillare diffusione dei social network sono da tempo il nuovo nemico delle relazioni coniugali, infatti, da un lato è messa a dura prova la fedeltà e, dall’altro, è ancora più facile scoprire il tradimento.
La questione è, dunque: chat, messaggi, linguaggio affettuoso, emoticons provano il tradimento?
Il tema emerge da una recente sentenza del Tribunale di Foggia nel caso di una moglie che ha cercato di avvalersi in giudizio degli screenshot delle chat WhatsApp e Messenger tra il marito e la presunta amante. I giudici foggiani, dopo aver verificato che le conversazioni via chat del coniuge in questione erano piene di cuoricini e conversazioni romantiche, hanno sentenziato che, sì, l’infedeltà coniugale può essere anche soltanto virtuale.
Un epilogo non nuovissimo, giacché la giurisprudenza negli ultimi anni ha, con molteplici sentenze, preso atto della possibilità del tradimento virtuale e non necessariamente fisico: come a dire che l’infedeltà virtuale è uguale a quella fisica.
Insomma, sembrerebbe bastare ben poco per violare quell’art. 143 del Codice civile sui diritti e doveri reciproci dei coniugi: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Quali conseguenze?
Anche nel caso del tradimento virtuale può essere lecito chiedere al giudice la fine del matrimonio e l’addebito della separazione, ovvero la possibilità che il Giudice – su richiesta del coniuge tradito – attribuisca la responsabilità della separazione al coniuge infedele chiamandolo a pagare le conseguenze legali legate all’addebito (quindi alla sua condotta colpevole).
Conseguenze dell’addebito
Qualora si riesca ad ottenere l’addebito della separazione le conseguenze a carico del coniuge “colpevole” sono gravi.
Il coniuge infedele, infatti, quand’anche ne abbia titolo, perderebbe:
- il diritto all’assegno di mantenimento;
- ogni diritto di successione o previdenziale (quindi, in caso di morte del coniuge incolpevole, l’altro né potrebbe ereditare alcunché né percepirebbe la pensione di reversibilità).
Altra conseguenza molto negativa è la possibilità di domandare al coniuge infedele il risarcimento di tutti i danni. Siamo di fronte ad un’ipotesi risarcitoria particolare che dipende dalla effettiva dimostrazione dell’esistenza di un danno ingiusto e riconducibile, a sua volta, alla specifica violazione dei doveri matrimoniali (pensiamo ai casi di chi viene tradito sul posto di lavoro o in ambiti sociali ristretti, dove tutti sanno tranne il tradito, o con modalità fortemente offensive).
Si badi bene: l’addebito può essere ottenuto solo dimostrando che il tradimento è la causa principale della fine del rapporto matrimoniale e non un atto di infedeltà in un rapporto già da tempo logoro e compromesso.