Parcheggio selvaggio diventa violenza privata e porta all’arresto

Dall’inciviltà al reato penale
Tempi duri per la diffusa pratica della sosta selvaggia per strada. Doppie e non di rado terze file spesso causa di liti altrettanto selvagge, ritardi, ingorghi e traffico impazzito: da poche settimane, infatti, bloccare un’altra auto occupando la strada e impedendo il passaggio determina una circostanza di violenza privata e quindi un reato di natura penale punibile fino al carcere.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza 5358/2018 in base alla quale “ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. Pertanto, anche la condotta di chi ostruisca volontariamente la sede stradale per impedire ad altri di manovrare nella stessa realizza l’elemento materiale del reato in questione”.

Una condizione già di per sé colpevole, questa, che secondo la sentenza potrebbe aggravarsi di fronte ad eventuali toni minatori del reo che conterrebbero la rappresentazione di un male: “Sotto il profilo soggettivo, il dolo è dato dalla coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza di turbare l’altrui tranquillità, senza che abbiano rilievo le motivazioni dell’agire”.

…Fino al carcere
Da questo punto di vista, le conseguenze potrebbero essere piuttosto gravi per il condannato che andrebbe di fronte, nel migliore dei casi, a sanzioni amministrative o, in uno scenario più fosco, alla reclusione sino a 4 anni sulla scorta dell’art. 610 del codice penale sulla violenza privata per cui “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
Una fattispecie che già nel 2005 la Suprema Corte di Cassazione aveva ribadito nella sentenza 24614 del 4 luglio con il principio secondo cui il reato previsto dal suddetto art. 610 “doveva ritenersi integrato già con la sola sussistenza di ogni condotta idonea a costituire una coazione della parte offesa”.

A tutela dell’imputato, tuttavia, resta lo spiraglio della valutazione della tenuità del fatto da parte della Corte giudicante come disposta da ex art. 131 del codice penale che prescrive come “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
In questo senso “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

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