Maltrattamenti e percorso giudiziario

Violenza psicologica in famiglia e ruolo determinante dell’avvocato

È dell’Organizzazione Mondiale della Sanità la definizione della violenza come “uso intenzionale della forza fisica o del potere, minacciata o reale, contro sé stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che esita o ha un’alta probabilità di esitare in una ferita, nella morte, in un danno psicologico, malsviluppo o deprivazione”.

In questo scenario, l’elemento centrale è l’uso del termine “potere” che non riguarda solo esclusivamente gli atti aggressivi, ma anche minacce, pressioni, intimidazioni, umiliazioni. Un infinito tormento che dà luogo, appunto, all’abuso psicologico.

La violenza nelle relazioni familiari non va pertanto inquadrata solo sotto il profilo fisico e/o sessuale, ma anche dal punto di vista psicologico ed emotivo che in egual misura può avere effetti dirompenti, come vedremo nel caso affrontato e descritto.

Il caso

Discussioni e pressioni “che potevano durare anche giorni interi o addirittura una settimana perché avevo messo in forno il tipo sbagliato di cena”… scatti d’ira improvvisi anche nel cuore della notte “perché mi accusava di trascurarlo”… impossibilità di avanzare richieste di collaborazione domestica perché “qui comando io e forse non hai capito con chi stai insieme”…

Una quotidianità dominata da questi continui comportamenti – scatenati dai più banali episodi – peraltro sempre in presenza della bambina della coppia che non di rado “gli diceva basta e si metteva a piangere ma lui non smetteva neppure dinanzi a queste suppliche”.

È una minima tratteggiatura del fosco quadro d’insieme che emerge dalla lettura del verbale di prima comparizione relativo ad un caso seguito dal nostro Studio legale Mauro e ora in discussione presso il Tribunale di Pisa.

Purtroppo, la ricca e drammatica cronaca ci dice che situazioni come queste sono innumerevoli per cui non ci troviamo di fronte ad un fatto granché originale: soprattutto per la classica modalità delle vittime di soccombere generalmente senza mai arrivare ad una conclusione – o comunque troppo tardi – per paura, per difficoltà pratica o economica a difendersi o per tutto un contorno legale che se gestito senza la dovuta risolutezza rischia di perdersi in una strada senza uscita.

Tanto è vero che a nulla è valso anche un periodo di psicoterapia di coppia giacché la donna non si sentiva “libera di dire tutto anche perché la terapeuta mi disse che tutto quello che io dicevo anche nei colloqui individuali sarebbe stato riportato all’altro e io quindi avevo paura delle sue reazioni a casa e così non dissi tutto alla terapeuta”.

E da qui prepotenze su prepotenze fino allo stalking.

Tutela legale e soluzioni

Da ciò in poi, invece, la causa in corso assume una maggiore specificità per chi volesse trarne un modo più deciso di gestire la situazione: ovvero il ruolo dell’avvocato non solo concentrato su eventuali teorie giuridiche, ma un vero tutore della vittima a 360 gradi, aiutandola a tirare fuori il coraggio e la determinazione per compiere le scelte a suo vantaggio spesso di fronte ad una certa sordità delle istituzioni giudiziarie. Da cui la necessaria efficacia operativa nella fattispecie violenza psicologica in famiglia e ruolo determinante dell’avvocato.

Difatti, di fronte ad un assoluto vicolo cieco, siamo subentrati in corsa cercando di raddrizzare un percorso giudiziario partito male. Un procedimento di separazione giudiziale con affido – per ora – condiviso, ma soprattutto la previsione di una Ctu stante l’evidente prepotenza del marito in questione e contestualmente una querela di parte sulla base della testimonianza della donna – attraverso due relazioni della psicologa e del centro antiviolenza locale – con cui si è avviato il procedimento penale che potrebbe avere esiti davvero gravi per il coniuge violento.

Sembra tutto secondo prassi?

Lo è, ma come detto non sempre si riesce a procedere in questa direzione per le resistenze della vittima che l’avvocato deve riuscire ad abbattere e per una certa superficialità di quelle suddette istituzioni giudiziarie che, è tragicamente noto, spesso lasciano le vittime a loro stesse

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