La Cassazione, sin dal 2017, ha stravolto i principi ormai graniticamente consolidati in materia di assegno di mantenimento al coniuge stabilendo che per l’erogazione e quantificazione dello stesso non si dovrà più fare riferimento al criterio del tenore di vita tenuto durante il matrimonio, ma – per ragioni “perequative” o “compensative” – alla valutazione dell’effettiva o eventuale difficoltà economica dell’ex coniuge e sul ruolo svolto nella realizzazione della coppia e della famiglia. Soprattutto se ciò abbia comportato il sacrificio della propria affermazione professionale o personale.
Ciò vale specialmente nel caso in cui un genitore abbia rinunciato a studiare per dedicarsi ai figli: in questa ipotesi – ha specificato ancora una volta la Cassazione nella recentissima Ordinanza 31359/2019 – l’assegno di mantenimento va riconosciuto giacché, nel caso preso in esame, “la diversa situazione economica delle parti dipende già dalla rinuncia agli studi universitari per occuparsi della figlia minore”.
Viene dunque a ribadirsi che “la funzione dell’assegno non è più… quella di realizzare un tendenziale ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi nel corso del matrimonio, ma invece quello di assicurare un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare”
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