Diffamazione su Facebook: decidi di difenderti, puoi vincere

La strategia legale in sede civile persegue 3 obiettivi: rimozione del post, smentita dei contenuti diffamatori e successivo risarcimento a seguito di espressa domanda da presentarsi al Giudice. Ecco una sentenza di condanna ottenuta in un caso di concorrenza sleale

La condotta “incriminata”

Da oltre 15 anni siamo entrati impetuosamente nell’era dei social network che, purtroppo, ha consegnato alle cronache anche la moltiplicazione di fatti criminosi di estrema gravità. Un mondo interconnesso che ha trasformato il web in una sorta di Far West dove molti utenti, armati di sola tastiera, hanno trovato la possibilità di sfogare i propri istinti in modi estremamente incivili e gratuiti pensando che in rete sia concesso o ammissibile ciò che nella vita reale è proibito ed inammissibile. Sempre più frequentemente assistiamo a casi di condivisione abusiva di contenuti intimi e privati che hanno travolto le vittime e la loro dignità fino al suicidio.

Ma senza arrivare a questi casi limite, evidenziamo che pur se meno clamorose sono innumerevoli ed ugualmente gravi le pubblicazioni o libere interpretazioni di fatti di varia natura – anche commerciali, d’impresa ed economici in genere – che vengono quotidianamente indirizzate tramite i social ad una platea potenzialmente sterminata di utenti, tanto da aver spinto la giurisprudenza a dotarsi di contromisure volte a fornire uno strumento di tutela a qualsiasi soggetto insultato, calunniato, diffamato o leso nella propria persona e/o immagine. Ultimo esempio in ordine di tempo la sentenza 50/2017 della Corte di Cassazione secondo la quale “offendere attraverso i social network può essere considerata a tutti gli effetti diffamazione aggravata, con una pena che va da 6 mesi a 3 anni di reclusione o una multa che parte da un minimo di 516 Euro”.

Si è quindi estesa, anche a questo specifico ambito, l’applicabilità dell’articolo 595 del codice penale sul reato di diffamazione: “Chiunque… comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Tu: “Facile a dirsi, ma io ho rinunciato a difendermi in una vicenda di pesanti illazioni sulla conduzione della mia attività commerciale perché mi sembrava di combattere contro un fantasma”

Al di là della gravità o meno dei casi, è certamente questa la prima sensazione che può farti rinunciare a prendere dei provvedimenti legali: cioè la paura che ogni possibilità di difendersi si disperda nella dimensione sconfinata e impersonale della rete. Invece devi considerare che il tuo obiettivo non è la rete ma una persona in carne ed ossa la cui condotta, come riportato nella sentenza di cui sopra, “integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

È infatti la natura stessa dello strumento “social network” a fungere da cassa di risonanza del messaggio lesivo della tua reputazione che, giungendo ad una platea sterminata di utenti, è suscettibile di renderti la vita privata o professionale un inferno.
Ma hai la possibilità di riemergere da questo inferno e te lo dimostro col frutto del nostro lavoro di Studio che, in un caso di concorrenza sleale perpetrato attraverso la pubblicazione di post di discredito su internet, ha portato ad una sentenza di condanna alla rimozione dei post denigratori con contestuale previsione di pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo nella cancellazione ed ulteriore condanna al pagamento delle spese di giudizio nei confronti del soggetto diffamante.

Il caso
La vicenda riguardava 2 società dirette concorrenti nel mercato di riferimento (servizi ai professionisti).
La società leader nel proprio settore, per il tramite del nostro Studio, ricorreva al Tribunale di Trento chiedendo che fosse interdetta la condotta di una società concorrente la quale, attraverso la propria pagina Facebook, aveva posto in essere una vera e propria campagna denigratoria con post diffamatori contenenti notizie false e gravemente lesive della professionalità altrui. Successivamente all’incardinarsi del giudizio la parte avversaria provvedeva ad una modifica del post in questione che, tuttavia, non essendo ritenuto tale da eliminarne la portata diffamatoria non ha scongiurato il successivo provvedimento di condanna.

È stato infatti dimostrato che “i toni impiegati sia nel post originario che in quello modificato superano i limiti della continenza e, inseriti nel rapporto concorrenziale tra le parti, appaiono chiaramente volti a screditare, agli occhi della clientela comune, l’immagine e l’operato dell’azienda xxx. Le differenze tra il primo post e quello modificato sono minime e tutto sommato irrilevanti, là dove il secondo conserva una carica lesiva sufficiente a ritenere integrato l’illecito anticoncorrenziale… La continenza risulta poi abbondantemente superata nell’eccesso di enfasi, anche tramite l’uso del maiuscolo e delle virgolette, dove malcelati eufemismi presto trascendono in attacchi diretti… La chiara finalità anticoncorrenziale e il superamento dei limiti della continenza – anche, come detto, tramite l’accostamento di fatti eterogenei – configurano l’illecito concorrenziale, restando irrilevante ogni ulteriore indagine circa il rispetto del requisito della verità, quantunque putativa, di quanto detto nel post…”.

Accertata l’illiceità della condotta, il Tribunale ha pertanto condannato la società avversaria prescrivendo:

  1. la rimozione dei messaggi;
  2. l’inibizione a pubblicare nuovamente messaggi;
  3. il pagamento della somma di euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nella rimozione di cui al capo 1 e per ogni giorno di violazione dell’inibizione di cui al capo 2);
  4. il rimborso in favore della ricorrente delle spese processuali dei due gradi di giudizio, che liquida in complessivi euro 3043,70 per compensi di avvocato, euro 607,00 per spese, oltre 15% per spese forfettarie e accessori di legge.

In aggiunta a tal genere di condanna resta sempre aperta anche la possibilità di incardinare, parallelamente al giudizio civile, d’urgenza o ordinario, un procedimento volto ad ottenere il risarcimento del danno e la condanna penale attraverso la proposizione di apposita querela.

È bene ripeterlo: qualunque sia la gravità della circostanza, ogni vittima ha gli strumenti legali per difendersi. Bisogna solo decidere di volersi difendere.

Consulta il Provvedimento sulla Diffamazione:

PROVVEDIMENTO DIFFAMAZIONE FB

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *