Mantenimento figli minorenni: la triste realtà di padri ridotti sul lastrico

Ma ora un caso presso il Tribunale di Massa, con annullamento del contributo di mantenimento, potrebbe rivoluzionare la giurisprudenza in materia. Va applicato pienamente il “principio di proporzionalità” tra i redditi dei genitori

Pur avendo uno stipendio di 1500 euro mensili non sono più in grado di vivere dignitosamente tra rata del mutuo, debiti pregressi, le conseguenze della separazione, l’affitto di casa e il mantenimento che devo a mio figlio minore. Pertanto vivo insieme ad altri padri separati nelle mie stesse condizioni per dividere le spese. Come posso adempiere ai miei doveri in questa situazione?

Pensi sia un caso di rara disperazione? No, è un caso disperato ma non raro! Questo scenario è comune, ormai, a moltissimi padri separati, professionalmente ed economicamente in estrema difficoltà, messi di fronte all’impossibilità di affrontare le conseguenze di una separazione e soprattutto del mantenimento dei figli minori.
Nel caso della separazione il peso economico dipende (in assenza di accordo fra i coniugi) da ciò che viene stabilito dal Giudice, e può succedere che si decida di non determinare un mantenimento a carico di un coniuge nei confronti dell’altro. In presenza di figli minori non si sfugge: il mantenimento è automatico e il Giudice è chiamato solo a quantificare il contributo che il genitore non collocatario è tenuto a versare al genitore che vive con il minore.

Cosa dice la legge?
È l’Art.155 del codice civile a stabilire che, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il Giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Ma già ai sensi e per gli effetti degli artt. 147 e 148 del codice civile i genitori sono obbligati a provvedere al mantenimento dei figli, in concorso tra loro e secondo le rispettive proprie capacità economiche.

In altre parole, i genitori devono contribuire al mantenimento dei figli minori in proporzione ai propri redditi. Implicando con ciò che ad un padre restino risorse sufficienti per andare avanti.
È noto che per accertare le rispettive capacità economiche, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, le dichiarazioni fiscali dei redditi possono non essere sufficienti.
Il Giudice detiene, pertanto, un ampio potere istruttorio, potendo verificare le condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli e disporre, ove necessario, accertamenti della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

La realtà oltre la legge
È altrettanto noto che il nostro ordinamento giuridico pone su un piano privilegiato la tutela dei minori, attraverso tutta una serie di norme processuali e non, che elevano il soggetto minore in una condizione prioritaria rispetto ad altri interessi (ad esempio quelli dei genitori).
Non è raro infatti imbattersi in sentenze che impongono ai padri l’obbligo di versare contributi al mantenimento assolutamente sproporzionati rispetto ai redditi.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Tanto che è sempre più diffuso l’impegno di associazioni a tutela dei padri separati i quali, persa la casa coniugale a vantaggio delle mogli e obbligati a versare un contributo insostenibile, si ritrovano a non potersi permettere nemmeno l’affitto di un appartamento.

Tu: “Allora non ho speranze?”
Ti rispondo col frutto del nostro lavoro di studio mostrandoti un recente provvedimento ottenuto presso il Tribunale di Massa: si tratta dell’eliminazione del contributo al mantenimento che un padre in difficoltà economica era tenuto a versare alla moglie per il figlio minore in virtù degli accordi di separazione.
Il caso in questione rappresenta una situazione tipo in cui si ritrovano molti padri separati, la maggior parte non consapevoli del fatto che possono migliorare la loro condizione. Nel caso di specie rappresentavamo un padre che, a causa della crisi economica, si è ritrovato un reddito dimezzato rispetto all’epoca della separazione. Per tale ragione non più in condizioni di far fronte, oltre al mutuo della casa dove vive il figlio, anche ai debiti pregressi e al mantenimento stesso del bambino.
Siamo riusciti a concentrare l’attenzione e la decisione del Giudice sulla reale situazione di difficoltà in cui versava il nostro assistito, partendo dal presupposto che il minore era sufficientemente tutelato. In particolare abbiamo seguito con precisione e fatto valere quei principi normativi e di diritto mai effettivamente applicati come, un esempio tra tanti, gli equivalenti periodi di permanenza del minore con i genitori.

Sia ben chiaro: i figli vanno mantenuti e il pregiudizio loro derivato dalla separazione dei genitori deve essere ridotto ai minimi termini. Ciò però non deve portare ad uno squilibrio in senso opposto. Equilibrio è il termine esatto: l’avvocato deve spingere il Giudice ad emettere un provvedimento equilibrato fra le esigenze preminenti del minore e quelle, di sicuro meno importanti ma comunque degne di tutela, del genitore.
In concreto significa che solo tornando allo spirito preciso della legge, ovvero al principio di proporzionalità, con tutti gli accertamenti del caso, sarà possibile un reale equilibrio di diritti e doveri tra madri e padri separati.

Non sono pertanto in discussione le responsabilità indiscutibili verso i figli, ma come poterle rispettare al meglio superando un tradizionale pre-giudizio giuridico nei confronti della figura maschile.

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