Puzza di cibo in condominio

Puzza di cibo in condominio? È molestia olfattiva… se provata

Sebbene l’Italia sia la patria riconosciuta della buona cucina, questa storica qualità può diventare motivo di aspra lite condominiale: le emissioni di fumi e odori oltre la normale tollerabilità integrano infatti gli estremi di un vero e proprio illecito.
Ovvero, se gli odori che provengono dall’altrui appartamento sono tali da arrecare effettivo fastidio e molestia ecco che la normale tollerabilità è violata e il trasgressore può rischiare una citazione in giudizio e la conseguente condanna al risarcimento del danno.

Puzza di cibo in condominio: Le norme e la giurisprudenza

Il codice civile contiene una norma, l’art. 844, che testualmente recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

Orbene, tale norma è quella cui riferirsi non solo in caso di emissioni di fumi, ma anche di suoni o rumori che superino il limite della tollerabilità.

Tuttavia, ci insegna la Cassazione, la casistica può assumere anche rilievi penalistici come nella specifica sentenza n. 14467/17 della Corte di Cassazione, sempre in materia di “puzza di fritto”, dove è stata ribadita la connessione con il reato di “getto pericoloso di cose” sulla base dell’art. 674 del codice penale per cui “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206”.

Con ciò confermandosi, dunque, che nel caso di molestie olfattive ed a prescindere dal soggetto emittente “quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 del codice civile”.

…Nonostante la chiara cornice giurisprudenziale in materia, è pur vero che i condomini sono sempre un facile “terreno di battaglia”. Pertanto, è fondamentale che chi intenda ingaggiare questo specifico scontro con il vicino ricordi che la puzza va provata. Ecco ad esempio un caso trattato dallo studio trovatosi a difendere un presunto “appestatore”.

Puzza di cibo in condominio: Il caso

Protagonista un’anziana nonnina che, lamentando un’insopportabile puzza di fritto proveniente dall’appartamento sottostante, ha deciso di citare in giudizio il proprietario dello stesso nonché cliente dello studio.

Il processo si è svolto con l’ausilio di un Consulente tecnico nominato dal Giudice e incaricato di indagare ed accertare non solo la presenza della denunciata puzza ma anche, in caso di risposta affermativa, come fosse possibile che la stessa giungesse nell’appartamento della nonnina.

Ai fini degli accertamenti di cui sopra, al Ctu è toccato svolgere varie prove di frittura presso l’appartamento del malcapitato convenuto (sono stati fritti prima dei wurstel, poi delle cipolle) all’esito delle quali, però, è emerso che “le uniche immissioni rilevate in prossimità della cappa sono dovute ad una non perfetta sigillatura del tubo che dalla cappa della cucina convoglia verso la canna fumaria dell’edificio causando possibili rientri all’interno della cucina stessa”.

Il risultato dell’accertamento, ovvero l’assenza di puzza oltre il normale limite di tollerabilità ed anzi l’imputabilità di quel poco di puzza a caratteristiche proprie della cappa della nonnina, ha portato il Tribunale di Roma a rigettare la domanda dell’attrice che si è altresì vista condannare alla refusione delle spese legali ed al pagamento del consulente tecnico nominato dal Giudice (una debacle di oltre 7 mila euro che si è aggiunta ai costi sostenuti per la propria difesa in giudizio)

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