Assegno divorzile: Giudici completamente autonomi anche rispetto alle sentenze della Cassazione

Allarmismo sociale eccessivo e avvocati in grado di garantire, attraverso l’analisi dei singoli casi, il giusto compromesso tra questione femminile e innovazioni giuridiche

Dibattito sempre più acceso sulla rivoluzionaria sentenza della Cassazione in materia di assegno di divorzio (la 11504/2017) che, dopo oltre 30 anni di consuetudine, ha accantonato il criterio del tenore di vita matrimoniale, in virtù del quale si stabilivano il riconoscimento e l’entità dell’assegno stesso, sostituendolo con una valutazione dell’autosufficienza del coniuge più “debole”.

Per la quantificazione dell’assegno bisognerà ora dimostrare:

1) di non essere autosufficienti;

2) di non esserlo a causa di scelte familiari. Viene meno in questo modo il principio della “solidarietà economica”.

Vero è che dal punto di vista squisitamente tecnico la Corte ha solo tracciato un nuovo orizzonte verso una maggiore parità di diritti e doveri in base allo spirito dei nostri tempi che ha visto rarefarsi il genere di donna priva di opportunità o di personali ambizioni che considera il matrimonio una sua “sistemazione definitiva”.

Quelle donne appartengono ad un tempo passato e a subculture che le hanno certamente rese deboli nel rapporto matrimoniale ma, per questo, facilmente destinatarie di assegni, divorzili e di mantenimento, spesso onerosissimi per l’ex coniuge; creando un corto circuito e un pregiudizio a volte davvero ingiusti o incomprensibili nei confronti di quest’ultimo.

È anche vero che il tema non può essere affrontato solo dal punto di vista tecnico-giuridico ignorando quella che è ancora una questione sociale, cioè il forte limite che le donne incontrano allorquando vogliano inserirsi professionalmente nell’odierno mercato del lavoro.

È incontestabile che persistano condizioni di organizzazione familiare – la maternità su tutto – che impediscono una totale affermazione femminile verso l’autosufficienza economica.

Sebbene sia difficilmente giustificabile oggi la presunta scelta di favorire il marito, resta aperto in sede di eventuale divorzio un fattore di effettiva debolezza femminile per l’impostazione economica del dopo-matrimonio.

La complessità di questo doppio ragionamento, tra livello tecnico e sociologico, vede un certo contrasto sulla decisione della Suprema Corte anche tra gli addetti ai lavori, tra avvocati o magistrati o giudici.

Un contrasto di per sé non negativo o indecifrabile giacché, posto il valore generale della sentenza, va ricordato che l’ordinamento giuridico italiano si discosta profondamente da quelli di tipo anglosassone dove una sentenza assume valore per così dire vincolante o comunque suscettibile di influenzare le decisioni di altri tribunali o giudici.

Al contrario, il sistema italiano assicura ai giudici la piena autonomia e libertà nel giudicare e, per tale motivo, saranno liberi di aderire o meno all’indirizzo dettato dalla sentenza stessa.

In altre parole, probabilmente ogni tribunale deciderà caso per caso, valutando un numero elevato di variabili e circostanze da tenere in debito conto prima di negare l’assegno.

Prova ne è, ad esempio, una recentissima sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo lo scorso 5 luglio (n. 826/2017) in cui si è ribadita la fondatezza del riferimento al pregresso tenore di vita per la valutazione di congruità dell’assegno, richiamandosi ad una ulteriore pronuncia della prima sezione della Cassazione (n. 12196/2017) che ha affermato tale orientamento, almeno quando vi siano figli minori o ancora non economicamente indipendenti.

Ragionare, dunque, con serenità sulla rilevanza di questi aspetti che il clamore mediatico non ha il tempo e la capacità di far comprendere, ci porta ad evidenziare che stiamo parlando della sentenza di una sezione singola della Cassazione e non di una sentenza a sezioni unite.

Cosicché, come appena riportato, si può addirittura arrivare a sentenze di altre sezioni che si discostano dal precedente indirizzo, o persino una sentenza a sezioni unite di indirizzo contrario che ne annullerebbe ogni effetto.

Per cui Partendo dal presupposto che i meccanismi decisionali della Cassazione prevedono anche la pubblicazione di sentenze tra loro contrastanti; come Studio Legale, conoscendo a fondo i vari indirizzi espressi dai Giudici, riteniamo superabile ed eccessivo il clamore del dibattito giuridico in corso, ricordando che gli addetti ai lavori possono garantire una tutela ottimale per ogni caso che venga portato al loro esame.

La generalizzazione in ambito giuridico non è mai consentita, atteso che ogni singolo caso è caratterizzato da variabili assolutamente diversificate che restituiscono allo specifico tribunale quella piena autonomia di giudizio che caratterizza il nostro sistema giudiziario.

Pertanto, contro l’allarmismo sociale alimentato dalla comprensibile ma scarsa conoscenza tecnica, evidenziamo che se il parametro del tenore di vita vede ridurre il suo impatto, nessuna sentenza ha di fatto escluso il principio del mantenimento e delle responsabilità verso i figli.

Possono convivere, quindi, il criterio dell’autosufficienza economica, la parità dei diritti e dei doveri, e soprattutto l’auspicio alla liberazione della donna dalle sue difficoltà sociali rivoluzionando davvero i tempi di vita e di lavoro.

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