ALIENAZIONE PARENTALE

Stop della Cassazione all’alienazione parentale

I minori vanno ascoltati – La Corte di Cassazione bandisce l’alienazione parentale dai tribunali definendo fuori dallo stato di diritto l’esecuzione coattiva dei provvedimenti nei confronti dei minori e stabilendo che gli stessi devono essere ascoltati nei procedimenti che li riguardano.

È il senso della recentissima ordinanza della Cassazione, la n.9691/2022, che trae origine dalla contrastata vicenda giudiziale conclusa con l’accoglimento parziale del ricorso presentato da una donna, in merito alla decisione di decadenza dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore, di trasferimento del bambino in casa-famiglia nonché all’utilizzo della forza in sede di esecuzione dei provvedimenti relativi al minore stesso.

La Cassazione, più nello specifico, riforma la precedente decisione della Corte di appello di Roma per cui il diritto alla bigenitorialità si realizzava rimuovendo la figura genitoriale della madre e ciò sulla base di quanto affermato dai consulenti tecnici d’ufficio che avevano accertato l’alienazione parentale (tecnicamente definita con l’acronimo PAS Parental Alienation Syndrome) “nonostante il costrutto ascientifico della stessa”.

Quindi è senza mezzi termini uno Stop della Cassazione all’alienazione parentale.

Pas illegittima – Ribadito che la bigenitorialità è, anzitutto, un diritto del minore, torna l’imprescindibile valore dell’ascolto del minore a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo: “Tale adempimento non può essere sostituito dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, la quale adempie alla diversa esigenza di fornire al giudice altri strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente al suo interesse. Tali consulenze fanno riferimento al postulato patto di lealtà tra madre e figlio, o al condizionamento psicologico, tutti termini che richiamano ancora la sindrome dell’alienazione parentale”.

Pertanto, si è ritenuto illegittimo il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario “costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.

Ne deriva che il diritto alla bigenitorialità così come ogni decisione assunta per realizzarlo non può rispondere a formula astratta “nell’assoluta indifferenza in ordine alle conseguenze sulla vita del minore, privato ex abrupto del riferimento alla figura materna con la quale, nel caso concreto, come emerge inequivocabilmente dagli atti, ha sempre convissuto felicemente, coltivando serenamente i propri interessi di bambino, e frequentando proficuamente la scuola”.

Né tantomeno si prospetta accettabile qualunque esecuzione coattiva consistente nell’uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia: “suddetta misura non è conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall’età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento, e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona, sebbene ispirata dalla finalità di cura dello stesso minore”.

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