Mantenimento figli maggiorenni: obblighi e limiti

“I genitori, la famiglia, sono divenuti l’appiglio che permette ai figli di condurre la loro transizione infinita all’età adulta. Si spiega soprattutto così l’importanza attribuita dai più giovani ai rapporti con la famiglia. Ma soprattutto all’indipendenza e all’autonomia. Tre su quattro, fra quanti hanno fino a 24 anni, li considerano molto importanti. Nel 2003 erano poco più di uno su due. Segno evidente che il sostegno della famiglia è necessario, ma, al tempo stesso, aumenta, la domanda di in-dipendenza. Di crescere e auto- realizzarsi. Di affermarsi e ‘fare carriera’. Obiettivo ambito dal 41% dei più giovani: quasi 10 punti in più rispetto ai primi anni 2000. Una speranza che, per essere realizzata, li spinge a guardare e andare altrove”.

Questo il passaggio di un articolo pubblicato il 30 ottobre 2017 sul quotidiano “La Repubblica” in relazione ad un sondaggio dell’Osservatorio Demos-Coop in cui si evince, per sommi capi, che “si assottigliano le differenze tra generazioni e cresce la dipendenza dalla famiglia. Italiani sempre più incapaci di accettare le responsabilità della vita adulta. La vecchiaia è l’unica paura comune e la gioventù dura fino a 52 anni”.

L’assegno in regime di separazione o divorzio

Premessa fondamentale è che il dovere dei genitori nel mantenere i figli – sancito dal codice civile all’art. 337 ter, IV comma – non si esaurisce con il raggiungimento della maggiore età. Tale obbligo infatti si protrae fino al raggiungimento dell’indipendenza economica della prole; ciò con ovvie eccezioni e limiti.

Ci ritroviamo così nel campo giuridico del mantenimento dei figli maggiorenni su cui la giurisprudenza offre una molteplicità di pronunce in base alle peculiarità all’interno della famiglia: ad esempio genitori separati o volontà o meno del figlio/a di rendersi indipendente.

Nel caso di genitori separati questo obbligo ruota attorno all’assegno di mantenimento, deciso e calcolato dal giudice o attraverso accordi tra le parti, che “è una forma di contribuzione economica consistente nel versamento periodico di una somma di denaro o di voci di spesa da parte di uno dei coniugi all’altro o ai figli (qualora questi ultimi siano maggiorenni e vi sia una pronuncia di versamento diretto o un accordo in deroga con l’altro coniuge), per adempiere all’obbligo di assistenza materiale”.

Recenti sentenze della Cassazione hanno poi rivoluzionato i parametri per la quantificazione dell’assegno:

  1. L’ormai famosa sentenza 11504/2017 che ha per la prima volta sostituito il criterio del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio con la valutazione dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge “più debole”; quindi la sperimentazione di soluzioni più equilibrate per preservare con maggiore lungimiranza la capacità di sostentamento degli ex coniugi.
  2. Una contemporanea ordinanza (la 12063/2017), meno nota ma non meno clamorosa, sul caso di un figlio appena disoccupato di coniugi separati, pertanto “economicamente dipendente”, per il quale la Corte ha negato un ulteriore contributo alla madre richiedente nei confronti dell’ex marito e padre del ragazzo: “Il diritto del coniuge separato (o in questo caso dell’ex coniuge), di ottenere dall’altro coniuge, o ex coniuge, un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente, è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento (se previsto) ad opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori, come nella specie il licenziamento, le quali non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno”.

Natura generale dell’obbligo di mantenimento

Ecco che, senza entrare a fondo nei meccanismi del mantenimento derivanti da regime di separazione o divorzio, il tema in sé pone un quesito più generale: fino a quando corre l’obbligo di mantenere un figlio maggiorenne?

Va considerato che il conseguimento della maggiore età (18 anni) e il raggiungimento dell’indipendenza economica sono i presupposti per richiedere la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento da parte del genitore. Tuttavia, l’art. 337 septies, comma I del Codice Civile ci dice che il giudice, “valutate le circostanze”, può disporre il pagamento di un assegno periodico da versare direttamente al figlio non economicamente autosufficiente.

Ecco che, come già detto, la maggiore età non determina più il limite del mantenimento, ma quest’ultimo è condizionato alla capacità del figlio di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio.

Resta il problema di conoscere quel limite. Non sono certo pochi i casi in cui è il genitore stesso o i genitori a non potersi permettere un mantenimento prolungato nel tempo o, peggio ancora, il figlio/a non ha alcuna intenzione di rendersi autosufficiente. Pensiamo ad esempio alle migliaia di studenti universitari fuoricorso che utilizzano l’espediente dello studio per continuare a non far nulla nella vita.

Il Tribunale di Milano viene in nostro soccorso con un’ordinanza del marzo 2016 ha stabilito che tale età è pari a 34 anni: “oltre questo limite, il figlio maggiorenne non può più pretendere il mantenimento e deve attivarsi autonomamente per diventare indipendente… Lo stato di non occupazione del figlio, in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, non può più essere considerato come giustificazione del mantenimento oltre la soglia dei 34 anni”.
Secondo i giudici infatti, oltre questa soglia massima, il mantenimento diventerebbe “un vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.

A porre il sigillo interpretativo su quelli che sono i diritti e doveri tra genitori e figli maggiorenni è ancora la Corte di Cassazione con la sentenza 21615 del 21 settembre 2017, stabilendo che l’obbligo “perdura fino a quando il genitore non dimostri che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, oppure quando fornisca la prova di avere posto il figlio nelle concrete condizioni di potere essere economicamente autosufficiente, ma questi non ne abbia tratto profitto utile per sua colpa o per sua scelta”.

Per colpa sua o per sua scelta: di fronte a ciò i genitori possono giuridicamente lavarsene le mani… Il peso morale di questa eventuale decisione non ha nulla a che vedere con il diritto.

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